Oggi ricorrere al Private Debt risulta molto interessante per le piccole e medie aziende in rapida crescita. Tale forma di finanziamento è ormai consolidata nel Regno Unito grazie all’interessante profilo rischio/rendimento di cui si caratterizza e anche in Europa si sta espandendo proprio come fonte alternativa per le PMI.
Flessibilità della struttura finanziaria aziendale
Se analizziamo le best practices internazionali circa la gestione della struttura finanziaria di aziende non finanziarie vediamo che numerose ricerche, condotte nei paesi industrializzati – i.e. Graham, J. e Harvey, C., (2001), Bancel, F. e Mittoo U.R., (2004) e Dallocchio M., Tzivelis D., Vinzia M. (2017) – evidenziano che le scelte in materia di indebitamento sono improntate ad assicurare flessibilità alla struttura finanziaria aziendale, garantendo al contempo un rating di credito (Credit Rating) migliore possibile.
Questo dipende dal fatto che le decisioni riguardanti la struttura finanziaria aziendale sono chiaramente subordinate – e non potrebbe essere altrimenti – alle scelte riguardanti il core business e in particolare alla politica degli investimenti. Pertanto i CFO (Chief Financial Officer) preferiscono una struttura finanziaria sub-ottimale dal punto di vista del costo, ma più flessibile e perciò meno rischiosa.
In sostanza per ottimizzare la combinazione rischio-rendimento, dal punto di vista della posizione finanziaria netta (PFN), le aziende tendono a diversificare le fonti del debito, benché questo possa comportare, almeno nel breve periodo, un maggior costo dei finanziamenti (del funding).
Tale aspetto nel contesto italiano appare particolarmente significativo poiché le aziende sono propense a raccogliere denaro soprattutto ricorrendo al sistema bancario.
Il problema della ridotta diversificazione delle fonti finanziarie
Questa ridotta attività di diversificazione delle fonti, il più delle volte, non si manifesta nelle realtà di maggiori dimensioni con rating investment grade (ossia da BBB- a crescere), ma nelle numerose e vitali realtà di minori dimensioni con rating non investment grade: in tal caso il sistema bancario rimane la via maestra e purtroppo spesso l’unica.
In relazione a queste ultime entità e in generale per le PMI, tale fenomeno si è poi ulteriormente enfatizzato per via del “Decreto Liquidità” (ex lege 40/2020 e del Decreto Sostegni bis ex lege 73/2021), che permette alle aziende di raccogliere nuovo debito bancario, fruendo delle garanzie pubbliche.
Ad es. il Mediocredito centrale offre una garanzia che può arrivare fino all’80% di esposizioni bancarie di durata sino a un massimo di 10 anni per finanziare nuovi investimenti e circolante, ma anche per consolidare il debito esistente, trasformando il debito a breve in debito a medio-lungo, pur mantenendo il minor costo della raccolta tipico di un’esposizione a breve.
Tale misura, finalizzata a fronteggiare la pandemia, ha fatto sì che le banche continuassero a erogare credito a entità per le quali, ai fini della garanzia pubblica, devono comunque verificare il merito di credito. Questo non sorprende, dato che la capacità di generare cash flow e quindi di essere in grado di rimborsare il debito, costituisce la condizione alla base della concessione del credito da parte di un qualsiasi intermediario finanziario.
Tuttavia Il sostegno pubblico al debito bancario non sembra poter costituire uno strumento strutturale e pertanto si impone una seria riflessione sull’opportunità di diversificare le fonti di finanziamento soprattutto per le realtà di medie dimensioni, ancorché con rating non investment grade.
La soluzione: ricorrere al Private Debt
Una strada che si potrebbe prendere in considerazione, al fine di diversificare le fonti di finanziamento, è quella del Private Debt, ossia far ricorso a private placement presso fondi di direct lending e private equity, di norma posseduti da investitori istituzionali e/o family offices.
In tal modo è possibile avviare il processo di diversificazione delle fonti soprattutto per dar corso alle operazioni di crescita o di ristrutturazione aziendale, grazie all’accesso strutturato a nuove forme di finanza ordinaria o straordinaria. In altre parole, mentre le grandi aziende con rating investment grade sono normalmente organizzate per collocare emissioni di titoli di debito in via continuativa sul mercato; per le realtà minori si potrebbe trattare di operazioni più occasionali e quindi il ricorso a questi fondi specializzati su prenditori con rating non investment grade e con un leverage più elevato potrebbe essere una soluzione per diversificare efficacemente le fonti finanziarie.
L’importanza della pianificazione di cassa (cash flow)
Pertanto, in vista di un affievolirsi del sostegno pubblico in futuro, occorre ribadire ancora una volta l’importanza di saper pianificare la generazione di cassa aziendale, assegnando coerentemente obiettivi al management e misurando nel tempo il loro raggiungimento, al fine di produrre un cash flow positivo che assicuri la capacità di rimborso e in generale il rispetto dei covenants finanziari inseriti nel finanziamento.
Senza un’efficace attività di pianificazione e controllo del cash flow non solo diventa problematica la diversificazione delle fonti finanziarie, ma si complica l’accesso in via continuativa a qualsiasi forma di debito, bancario o private direct lending che sia.
Il consiglio dell’esperto
In conclusione, le garanzie pubbliche a collateralizzazione del debito bancario non possono essere eterne e conviene muoversi per tempo. Per continuare dunque ad attingere al mercato del debito, diversificando opportunamente le fonti finanziarie, occorre avere sotto controllo in azienda la generazione di cassa. Senza un efficace processo di pianificazione e controllo del cash flow si rischia infatti di non essere in grado di garantire una solida e flessibile struttura finanziaria a sostegno del core business.